La dolce Marta 2

La Dolce Marta

Illustration for the story “La Dolce Marta”, from the book “La Vita Come Viene ” written by Mauro della Porta Raffo

Illustrazione per il racconto “La Dolce Marta” tratto dal libro “La Vita Come Viene” di Mauro della Porta Raffo

 

LA DOLCE MARTA

 

Un pomeriggio come tanti in sala corse.

Sempre le stesse facce, sempre le stesse storie…

No! Questa volta c’è qualcosa di diverso: Giuliano è in piena ‘gobba’.

Qualsiasi cavallo giochi, brocco o campione non importa, eccolo tagliare il traguardo per primo.

Fatichiamo un po’ a rendercene conto, ma, dopo la terza corsa ed il terzo en plein, gli andiamo tutti dietro ed è festa grande.

Vince, dispensa consigli a destra e a manca ed azzecca perfino le accoppiate!

La sera, dopo la chiusura, eccoci tutti radunati all’esterno dell’agenzia ippica pronti a festeggiare.

Sorrisi, battute, pacche sulle spalle.

Siamo in grana.

Dopo un quarto d’ora, ecco che esce l’unica persona che oggi ha perso: il proprietario della sala.

Qualche ululato di scherno lo accoglie.

Nessuna pietà.

Ci spolpa tutti i giorni fino all’osso ed è bellissimo vederlo andar via mogio, mogio, per una volta nella vita.

 

Mi avvicino a Giuliano e lo ringrazio.

Mi guarda come in sogno.

Pare fatichi a mettermi a fuoco.

E’ in piena trance.

“Ho vinto circa un milione, e tu?”, gli dico per vedere di ricondurlo alla realtà, di farlo tornare tra noi.

Non parla e mi fa cenno di seguirlo al bar, dall’altra parte della strada.

Entriamo, si avvia verso il fondo del locale e si siede all’ultimo tavolino, quello dietro l’angolo del bancone, quasi invisibile dall’ingresso.

Lo seguo e mi accomodo davanti a lui.

Subito comincia a tirar fuori di tasca rotoli di banconote.

Di tasca, ho detto? Da ogni dove! Ha soldi infilati dappertutto: nei pantaloni, nella giacca e perfino nella camicia.

In religioso silenzio, contiamo.

Settemilioniquattrocentocinquantamilalire.

Il miglior colpo che abbia mai visto fare in sala corse.

 

Finalmente, mi guarda.

“Ce l’hai la macchina qua fuori?”, mi fa, sempre allucinato.

“Sì. A che ti serve?”, rispondo, temendo già di sapere cosa gli passi per la testa.

“Prestamela, te la riporto domattina”.

“Vuoi andare al casinò?

Finisce che perdi tutto.

Ti rovini una gran bella giornata.

Fermati adesso e goditela”.

Niente da fare.

Ha una ‘gobba’ mostruosa, mi dice, e deve andare fino in fondo.

Va bene, sono rassegnato.

Non posso far nulla per bloccarlo.

Tiro fuori le chiavi di tasca e gliele passo.

Mi ringrazia, beve qualcosa, saluta e sparisce.

Lo vedo andar via con dispiacere: per una volta che ha vinto…

Peggio per lui, ho provato a farlo ragionare.

 

La mattina dopo, verso le nove, nove e un quarto, il citofono dello studio suona a ripetizione.

“Chi è?”

“Giuliano. Aprimi che salgo”.

Dal tono della sua voce non mi sentirei di dire che gli sia andata bene.

Eccolo che arriva.

E’ tranquillo e visibilmente stanco.

L’esaltazione di ieri pomeriggio sembra del tutto scomparsa.

Ma non è neanche a terra come dovrebbe essere se avesse perso tutto.

Sto sulle spine, voglio sapere cosa è successo.

“Allora?”, gli faccio spronandolo a parlare, mentre si siede davanti alla scrivania.

“Calma… calma, adesso ti racconto”.

“Ma, insomma, com’è finita? Hai vinto o no?”

Niente.

Sembra che voglia cominciare dal principio e mi devo accontentare.

 

“Ieri”, comincia, “dopo averti lasciato, sono andato diretto a Saint Vincent, come certo immaginavi.

Quel casinò mi porta bene ed ero più che sicuro che avrei vinto.

Ho giocato di tutto: black jack, trente-quarante, ma, soprattutto, roulette.

Ho lasciato perdere solo i giochi americani che non mi dicono niente”.

“E hai vinto?”, ripeto, cercando di interromperlo senza riuscirci.

“Alla tre”, prosegue, “quando mi sono alzato dal tavolo alla chiusura, avevo in tasca tanti di quei soldi che mi sembrava impossibile contarli ed ero ancora così euforico che non potevo fermarmi.

Ho ripreso subito la macchina e mi sono precipitato verso Varese.

Sono arrivato qua verso le cinque e mezza e (sai come succede) volevo parlare con qualcuno, rendere partecipe qualche amico della mia gioia.

E così mi capita di passare sotto la casa di Franco.

Te lo ricordi, no?

Fermo la macchina e suono più volte il citofono.

Deve essergli preso un colpo, ma, comunque, mi ha aperto e mi ha accolto ovviamente in pigiama.

Conosco casa sua da tanti di quegli anni… e senza parlargli, facendogli solo cenno di seguirmi, mi sono fiondato nel salotto, ho tirato fuori tutti i biglietti di banca che avevo e, carponi, ho cominciato a contarli stendendoli per terra, uno per uno, su tutto il pavimento.

Franco mi guardava esterrefatto e non mi chiedeva niente.

Sia come sia, mentre mettevo per terra tutto quel denaro, così, come d’improvviso, mi è piombata addosso una specie di malinconia.

Comunque, alla fine, quando tutto il salotto, divani compresi, era ricoperto di banconote, dopo essermi rialzato, mi sono seduto nell’unico angolo libero, guardandolo fisso, ormai pronto a dargli una spiegazione.

 

In quel momento è arrivata Marta.

La conosci?

E’ la moglie di Franco, quella ragazza bella, dolce…

Anche lei, naturalmente, mi ha guardato stupefatta dopo aver visto quel che era capitato al suo salotto.

Ho cominciato a raccontare, anche se non è che ne avessi più una gran voglia.

Il momento magico, anzi, nel mio caso, la giornata magica, era finita.

Mentre parlavo, osservavo quei due e mi chiedevo cosa stesse passando per le loro teste.

Franco era contento per me, o così mi era sembrato.

Ma, lei, Marta, mi guardava con una espressione particolare e, poi, sono certo di aver visto bene, lanciava strane occhiate al marito.

Dopo un’altra mezz’oretta, ho raccolto i miei soldi, mi sono scusato per l’irruzione e me ne sono andato.

 

Con calma, mi sono portato davanti alla banca, ho acceso l’autoradio e ho aspettato che aprisse.

Intanto, cercavo di analizzare i fatti, le emozioni, le espressioni con un certo distacco e, improvvisamente, ho capito Marta e quel che mi aveva inconsciamente comunicato con i suoi sguardi.

Lei, la dolce Marta, madre di famiglia e sposa esemplare, mai entrata in una sala gioco in vita sua, tutta casa e lavoro, in quel momento, solo per un attimo, aveva guardato il marito, solido, indefesso lavoratore, e l’aveva odiato.

Per un istante, tutto quel denaro liquido, palpabile, lì sui tappeti, aveva abbattuto le sue difese.

Maledetto Franco, incapace di sollevarla dalla routine, di farle cambiare vita!

E’ per questo che, adesso, mi vedi così, abbattuto.

Ora lo so, non sarei mai dovuto andare a trovarli.

Senza volerlo, ho rotto il loro equilibrio, ho fatto intravedere a Marta un’altra vita, un’altra, folle possibilità e non so dove questo la possa portare…” e restiamo, così a guardarci mentre l’eco delle sue parole, pian piano svanisce nell’aria.

 

 

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