p.193 La morte del Colonnello

La morte del Colonnello

Illustration for the story “La Morte del Colonnello”, from the book “La Vita Come Viene ” written by Mauro della Porta Raffo

Illustrazione per il racconto “La Morte del Colonnello”, tratto dal libro “La Vita Come Viene” di Mauro della Porta Raffo

 

 La Morte del Colonnello

Non alta e però diritta come un fuso, capelli castano scuro debitamente cotonati, curve non molto evidenti ma al posto giusto, occhi di un indefinibile grigio/azzurro/verde di quelli che guardano e non guardano attraverso le folte ciglia, sempre irreprensibilmente vestita con mai vistosi tailleur alla moda, la signora Veronica S** arrivò in città nel confortevole ed elegante condominio di via B**, in un comodo appartamento situato al secondo piano, da chissà dove esattamente alla metà degli anni Sessanta del trascorso Novecento.

Docile come un cagnolino, la seguiva a un passo di distanza a ogni uscita un uomo di mezza età che nel palazzo, prima che scomparisse senza lasciare traccia né rimpianti, tutti ritenevano fosse il marito.

 

Una vita normale, tranquilla, quasi nessun rapporto con i vicini, pochissime visite esclusivamente femminili, due uscite al giorno: al mattino verso le dieci per il giro dei negozi di alimentari del quartiere e nel pomeriggio, all’incirca alle cinque, semplicemente per passeggiare.

La domenica, alle undici, la santa Messa.

Evidentemente ben disposta dal punto di vista economico, dava l’idea di appartenere di buon diritto a quella particolare e raramente frequentata categoria di persone che all’epoca potevano permettersi di scrivere sulla loro carta d’identità, alla voce professione, un bel ‘benestante’.

 

Trascorsi un paio d’anni, alla signora praticamente non si badava più.

Era entrata a far parte in pianta stabile del microcosmo condominiale e mai avendo dato fastidio a qualcuno nessuno aveva mai dato fastidio a lei.

Fu quindi con vero sconcerto che i suoi coinquilini accolsero la mattina del 14 agosto del 19** verso le nove a trenta l’arrivo dapprima di un’ambulanza a sirene spiegate, di poi di una rombante pantera della polizia, infine di un medico legale e il di lei conseguente arresto.

Ancora di più, peraltro, stupì l’intero palazzo il fatto che gli inquirenti ritenessero opportuno portar via anche la sua vicina di pianerottolo, Sabrina F**, donna da ogni punto di vista insospettabile, dedita solo e soltanto alla famiglia, alla Chiesa e alle opere di carità.

 

Quanti, allertati dallo strepito degli automezzi e dal seguente continuo andirivieni di barellieri, poliziotti e medico, si erano assembrati al secondo piano sperando di carpire qualche notizia chiarificatrice degli eventi rimasero di lì a un quarto d’ora letteralmente senza fiato vedendo uscire dall’appartamento incriminato una barella sulla quale giaceva, del tutto defunto all’evidenza, un distinto e ignoto signore che dimostrava all’incirca una sessantina di primavere.

 

Era, come detto, la vigilia di Ferragosto e così fu solamente tre giorni dopo che l’intera storia cominciò davvero a prendere consistenza al di là delle più disparate e incredibili voci che, subito, avevano cominciato a correre per la città intera.

Fonte principale, quel dabben’uomo del marito di Sabrina F** che, avendo finalmente incontrato la moglie nel parlatoio del carcere locale, ritenne più che opportuno raccontare a tutti i condomini, e, loro tramite, al mondo intero, come davvero fossero andate le cose.

 

Fatto è, si apprese, che la signora Veronica – con la massima discrezione, tanto che nessuno mai lo aveva sospettato, e a ore notturne – era solita ricevere in casa la visita di un certo numero di gentiluomini che intratteneva evidentemente al meglio e che erano all’origine della sua agiatezza.

Nella notte tra il 13 e il 14 agosto, con lei il colonnello in pensione Camillo C**, specchiata figura di militare d’altri tempi.

Verso le cinque del mattino, svegliatasi nel letto matrimoniale di soprassalto quasi avesse avvertito la disgrazia, Veronica S** aveva allungato la mano a toccare il nudo corpo dell’ufficiale che le giaceva accanto per coglierne il gelo.

Accesa la luce e data una più approfondita occhiata al desso, si era arresa all’evidenza: il colonnello era morto stecchito.

 

Impossibile, naturalmente, avvertire subito le autorità.

Altrettanto impossibile pensare di affrontare il conseguente scandalo.

Così, in preda alla disperazione, ecco la signora bussare alla porta della vicina la cui disponibilità all’aiuto dei bisognosi le è nota, illustrarle la questione, chiedere e ottenere una mano purchessia.

Com’ è, come non è, una delle due ha un’idea.

Si tratta di rivestire di tutto punto il poveruomo, di collocarlo su una poltrona del salotto, di mettergli accanto una tazzina di caffè e di avvertire del decesso le autorità poco dopo le nove del mattino sostenendo che la morte sia sopravvenuta, evidentemente per infarto, nel mentre l’ufficiale, ospite della signora, si intratteneva innocentemente a colazione.

 

Tutto bene, secondo il piano prestabilito, fino all’arrivo del medico legale, ottimo amico – quando si dice il caso – del defunto e assai meravigliato dell’accaduto convinto quale è che il cuore del colonnello fosse in ottimo stato.

 

Ed ecco che il corpo a un sommario esame risulta già preda di un qualche irrigidimento che colloca a alcune ore di distanza la dipartita.

Prime contestazioni da parte degli incombenti poliziotti, panico, risposte confuse, versioni differenti e le due signore finiscono in gattabuia.

 

Ne usciranno presto, naturalmente.

Sabrina per tornare alla vita di tutti i giorni e Veronica per dileguarsi non appena possibile.

Così, come da chissà dove era arrivata, chissà dove se ne andò.

Giovane coinquilino, ancora oggi mi chiedo quali mai fossero le sue arti e, di quando in quando, mi dolgo di non averla conosciuta, come dire?, più a fondo.

 

 

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