Verso Runo p.177

Verso Runo

Illustrazione per il racconto “Verso Runo”, tratto dalla raccolta di racconti “La Vita Come Viene” di Mauro della Porta Raffo.

VERSO RUNO

(uscito il 15 dicembre 2009 nella pagina culturale del Corriere della Sera)

Assolutamente poco ambizioso.

Ecco: così, privo di pretesa alcuna se non quella di arrivare e pochissimo importandomi l’essere considerato un ‘manico’, guido da sempre la macchina e non per niente Giulio, adorato nipote, quando mio ostaggio sulle quattro ruote, dall’alto dei suoi tre anni scarsi, “Accelera, nonno”, ogni volta mi grida a piena voce.

Eppure, stasera – ed è una novità – diretto a Runo con la Signora d’accanto, al riguardo, mi interrogo e, quasi, mi scuserei.

Non posso, difatti, dimenticare la sua, per me spericolata ma di frequente felicemente sperimentata in gara, abilità.

E, per collegamento d’idee, ricordo quella volta in cui Alì Khan, mossiere d’eccezione di una corsa a cronometro in salita nei pressi di Como, sentendo l’altoparlante annunciare dopo il suo sventolar di bandiera “E’ partita Primavera Cambiasi”, ebbe a mormorare “Peccato. Come faremo adesso, senza primavera?”

 

“Guida ancora?”, mi vien fatto di chiederle e subito vorrei mordermi la lingua per quello scortesissimo “ancora”.

“Certo”, si illumina (e ben conosco i lampi improvvisi dei suoi occhi) fingendo di non aver colto la mia mancanza di savoir-vivre, “Anche se solo per andare dal macellaio a Comerio”.

Figlia primogenita della grande Liala, la dolce Signora ne è, a mio modo di vedere, caratterialmente, lontana anni luce.

Mai, penso, a Gabriele D’Annunzio sarebbe venuto in mente, conoscendola, di definirla “Compagna di insolenza” così come fece con sua madre, al Vittoriale, nel loro unico e burrascoso incontro al volgere del quale, in una dedica che in tal modo anche recitava vergata al margine inferiore di una fotografia, il Vate diede a ‘Liana’ Negretti Odescalchi Cambiasi il nome immaginifico che l’avrebbe da allora identificata.

 

Rotto dal sottoscritto tanto maldestramente il ghiaccio, lunga e tortuosa essendo la strada che da Varese, per il Brinzio, la Valcuvia e Luino conduce a Runo di Dumenza dove siamo attesi, parliamo.

Di chi, se non, inevitabilmente, di una Liala tanto incombente da essere spesso citata dalla Signora al presente come fosse viva e raramente come “Mia madre”?

E, quindi, della solitudine di Moneglia che la portò, per distrarsi, a scrivere.

Delle collaborazioni al ‘Caffaro’, antico e da decenni defunto quotidiano genovese.

Dell’incontro, in treno, con un ammiraglio amico del marito che la indirizza nientemeno che ad Arnoldo Mondadori.

Del suo incredibile affrontare il grande editore: “Ho pronte la seconda e la terza parte di un romanzo.

Se lei me lo pubblica, scriverò la prima”.

Della conseguente uscita del memorabile ‘Signorsì’.

Del citato confronto con ‘il’ – quasi non ve ne fossero altri – poeta, allora per eccellenza.

Della dura opposizione messa in atto da Mura, all’epoca regina delle storie d’amore (mai parlare di ‘romanzo rosa’, espressione rifiutata con sdegno), timorosa di essere ridotta in secondo piano.

Dei trionfi, della passione con la quale le lettrici la seguivano e di quando, morendo la protagonista di nome Lalla di un suo scritto al termine della vicenda, a causa delle loro proteste fosse stata addirittura costretta a farla rivivere, sia pure per interposta persona.

Dei rapporti con gli editori per antonomasia, i ‘veri’ Mondadori e Rizzoli in primis.

Della pressoché infinita serie di avventure messe su carta.

Dei contatti epistolari con tutti: re, regine, nobildonne, e migliaia di signorine e signore dei più differenti strati sociali.

Del declino fisico: gli occhi, la debolezza vieppiù accentuata degli occhi che, dolorosamente, le impedirà negli ultimi anni di scrivere.

Del suo romanzo inedito…

 

E qui, mi permetto di fermarla.

“Un inedito?”, chiedo.

“Sì, e incompiuto.

Centoventinove cartelle dattiloscritte.

Una bella storia che Liala non ha portato a termine a causa della vista.

E non voleva dettare.

Diceva che il suono della sua stessa voce la distraeva.

Io so, conosco il finale.

Il titolo doveva essere ‘Il ballerino in Paradiso’.

Una specie di Rudolf Nureyev che” (e avverto una qualche velata e gentile malizia nella successiva frase, in specie nel ‘però’), “si invaghisce però di una ragazza, che per amore perde la sicurezza del gesto che cercherà di recuperare in mille modi fino a ricorrere alle droghe.

Una trama commovente e tragica, nel puro stile di Liala…”

 

Come fare, penso nel mentre fermo la macchina al termine del viaggio?

Come trovare qualcuno in grado di concludere felicemente l’opera per proporla al pubblico?

E non certo solamente per il mero gusto di pubblicarla, considerato che ancora oggi migliaia di persone leggono Liala, del cui stile, della cui classe, della cui altissima educazione (ma certo!) v’è ognora necessità.

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